martedì 10 maggio 2011

L'Italia da paesi di emigrazione a paesi di immigrazione

GIULIA RIZZELLO e CHIARA VIOLI

Oggi il problema delle migrazioni è molto diffuso, ne è un esempio la nostra scuola, che è, infatti, frequentata in varie classi da 20 alunni stranieri provenienti da vari paesi: Albania, Ucraina, Bosnia, Bulgaria, Polonia, Romania, Ungheria, Sri Lanka. La loro presenza ci ha fatto riflettere sul fenomeno e sui relativi problemi, anche perché siamo stati un popolo di migranti anche noi italiani.

Negli ultimi anni si sono intensificati sempre più i processi migratori verso i paesi a sviluppo avanzato e, alle migrazioni di coloro che cercano di migliorare economicamente la loro condizione di vita, si sono aggiunte anche quelle di chi sfugge a persecuzioni e discriminazioni per motivi politici o a guerre. Entrambe incidono sulle sorti della storia!
Gli stessi europei dal XVI secolo in poi sfuggirono alla fame, alle persecuzioni religiose e politiche andando in America. Anche in Italia, fra l’Ottocento e il Novecento, l’aumento demografico, favorito dalle migliori condizioni di vita e dai progressi della medicina, e la crisi dell’agricoltura determinarono lo sviluppo del fenomeno migratorio che non riguardò solo il Mezzogiorno, ma anche il Friuli e il Veneto. La maggior parte degli emigranti italiani andò via dal proprio paese per sfuggire alla miseria e alla mancanza di lavoro e fu attratta dai paesi più sviluppati che facevano forte richiesta di manodopera. Il fenomeno dell’emigrazione in Italia, iniziato alla fine del 1800, e continuato fra la prima e la seconda guerra mondiale, riprese poi nel secondo dopoguerra, fra il 1946 e il 1956. Lasciarono il paese ben 1.600.000 italiani. E nonostante i numerosi rimpatri, nel 1950 le persone di origine italiana presenti nel mondo erano ancora 20 milioni. Sparsi negli Stati Uniti d’America o in Argentina, in Australia o in Canada, o nei più ricchi stati europei, che offrivano senz’altro maggiori prospettive.

Oggi l’Italia è diventata meta di immigrati che abbandonano il proprio paese, come è avvenuto da sempre nel corso dei secoli, per diverse ragioni:
- economiche: sfuggire dalla povertà e dalla mancanza di lavoro, problemi spesso causati anche da disastri naturali, come terremoti e carestie,
- politiche: sfuggire alle guerre, a dittature, a persecuzioni,
- religiose: impossibilità di praticare la propria religione.

Questo fenomeno, anche a causa dello sviluppo dei mezzi di comunicazione e delle telecomunicazioni, è in aumento e interessa quasi tutti i paesi del mondo. Infatti, negli ultimi quarant’anni è raddoppiato il numero di chi lascia il proprio paese per andare a vivere in altre regioni del pianeta, più ricche e sicure. L’Europa occidentale è una delle mete privilegiate per molti migranti dell’Europa orientale, ex comunisti, e dei continenti più poveri: Africa, Asia e America Latina, paesi che sono stati sfruttati per anni dai popoli europei che li hanno colonizzati. In quei paesi lo sfruttamento della manodopera e delle risorse primarie o l’esistenza di organizzazioni politiche totalitarie hanno impedito la costruzione di sistemi economici e sociali che potessero garantire il benessere di tutti. Certamente, chi affronta tutte le difficoltà del viaggio lo fa per cercare migliori condizioni di vita, e anche per affermare il proprio diritto alla vita e alla libertà. Sicuramente preferirebbe rimanere nel suo paese. Attualmente in Italia sono presenti circa 6.000.000 di immigrati e le loro condizioni di vita cambiano in base alle regioni in cui si insediano e al lavoro che svolgono.
Quelle a offrire maggiori possibilità di occupazione sono le regioni del Nord e, contrariamente a quanto affermano molti, diverse ricerche dimostrano che non vi è una diminuzione dei posti di lavoro per gli italiani, in quanto gli immigrati svolgono attività che spesso noi non vogliamo più fare. Molti imprenditori del nostro paese, anzi, confermano come il contributo degli immigrati sia diventato necessario per la nostra economia. Inoltre, le persone che giungono da altre parti del mondo contribuiscono a ’’ringiovanire’’ la popolazione italiana e spesso anche ad aumentare il PIL.


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